L’ “obbligo morale” dell’Agenzia delle Entrate nei confronti del contribuente sottoposto a controllo.

Si riporta un articolo de “Il Sole 24 Ore” nel quale vengono riportati a loro volta alcuni stralci della lettera scritta dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera in occasione dell’incontro tenutosi a Roma il 10/04/2014 con i Direttori Regionali e Provinciali delle Entrate.

Basta accanimenti sui contribuenti onesti, ma le critiche al Fisco in Italia sono spesso strumentali. Con troppa ostilità nei confronti di chi cerca di far pagare le tasse. La diagnosi arriva dal direttore dell’agenzia delle Entrate, Attilio Befera, in una lettera scritta in occasione dell’incontro con direttori regionali e provinciali delle Entrate il 10 aprile a Roma.
«Era prevedibile – scrive Befera – che un’azione di controllo sempre più incisiva e mirata avrebbe potuto suscitare malumori anche forti (…). Ed era anche abbastanza prevedibile che a questo stato d’animo si sarebbero accompagnate proteste assolutamente strumentali». Meno prevedibile, forse, aggiunge il direttore dell’Agenzia, «era l’esplodere di vere e proprie ostilità verso chi cerca solo di far applicare le regole che prevedono l’obbligo di pagare le tasse».
Ma la questione dei controlli presenta un altro lato non meno importante. «Se il contribuente – sottolinea Befera – ha dato prova sostanziale di buona fede e di lealtà nel suo rapporto con il fisco, ripagarlo con la moneta dell’accanimento formalistico significa venir meno a un obbligo morale di reciprocità, ed essere perciò scorretti nei suoi confronti». Il problema è che «se un accertamento non ha solido fondamento non va fatto e se da una verifica non emergono fatti o elementi concreti da contestare, non è corretto cercare a ogni costo pseudoinfrazioni formali da sanzionare solo per evitare che la verifica sembri essersi chiusa negativamente». La politica degli uffici, secondo Befera, deve essere al di sopra di ogni critica anche per adempimenti e rimborsi. «Non è ammissibile – spiega il direttore dell’Agenzia – pretendere dal contribuente adempimenti inutili, ripetitivi, e defatiganti. E costituisce una grave inadempienza ritardare l’esecuzione di sgravi o rimborsi sulla cui spettanza non vi sono dubbi».

Come sempre, si predica bene a livello centrale ma si razzola male a livello periferico.

Ad es. accade sovente nelle verifiche che laddove le scritture contabili siano nella sostanza inattacabili i verificatori cerchino sempre di trovare dei cavilli per poter applicare a tutti i costi l’art. 39 c. 1 lett. d) del D.P.R. 600/73 ricorrendo a presunzioni costruite in maniera molto deficitaria (classico esempio il tovagliometro per i ristoranti). Questo perché, contrariamente a quanto scritto da Befera, per i funzionari non è possibile che la verifica possa concludersi senza rilievi, vale a dire “rientrare in ufficio” senza nulla in mano, ne va (anche) della loro “immagine” di funzionari efficienti (mettiamola così). E che dire poi degli sgravi in autotutela? Se la questione presta il fianco a opinioni differenti tra ufficio e contribuente (ad es. scostamento tra prassi e giurisprudenza) difficilmente annullano l’atto prima del decorso del termine per la presentazione del ricorso, nonostante ci siano tutti i presupposti per annullarlo, costringendo il contribuente a ricorrere contro di esso (a proposito di comportamenti scorretti, Direttore…) per evitare che, decorso il termine, la pretesa diventi definitiva e quindi lo sgravio in autotutela diventi un’utopia. Ad es. quanti professionisti (avvocati, commercialisti, medici, ecc.) hanno dovuto affrontare un giudizio (anzi, tre gradi di giudizio) per vedersi riconosciuto il non assoggettamento ad IRAP per carenza del requisito dell’autonoma organizzazione nonostante l’indirizzo giurisprudenziale ormai pacifico in tal senso (ma prassi dell’Agenzia delle Entrate non allineata all’indirizzo giurisprudenziale)?

Speriamo che gli uffici periferici vogliano applicare alla lettera le linee di comportamento dettate a livello centrale e che i funzionari verificatori acquisiscano coscienza dell’ “obbligo morale” che l’istituzione che rappresentano ha nei confronti dei soggetti verificati, soprattutto in un momento congiunturalmente difficile come questo. Se dalla verifica non emergono fatti ovvero elementi sostanziali in base ai quali si ritiene che il contribuente abbia violato le norme fiscali, i funzionari hanno il dovere “morale” di chiudere il p.v.c. senza rilievi.

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