Il contribuente non beneficia della sospensione dei termini se presenta istanza di accertamento con adesione alla quale non consegue alcuna volontà di collaborazione con l’Ufficio

La CTP di Caltanissetta con la Sent. n. 1023/1/2016 (Pres. D’Agostini, Rel. Porracciolo) ha stabilito che non può fruire della sospensione dei termini ex art. 6 c. 3 Dlgs 218/97 il contribuente che presenta istanza di accertamento con adesione in seguito alla quale né si presenta all’incontro con i funzionari né tantomeno presenta una proposta scritta di definizione.

La vicenda trae origine dal ricorso presentato da una società di capitali alla quale l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento ai fini IRES e IRAP per l’anno 2012 mediante il quale l’Ufficio, richiamando un pvc redatto dalla Guardia di Finanza, recuperava a tassazione, tra l’altro, costi relativi a operazioni inesistenti.

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Definizione agevolata cartelle esattoriali

Lo studio fornisce apposito servizio di consulenza riguardante la definizione agevolata delle cartelle esattoriali introdotta dall’art. 6 del D.L. 193/2016, tenuto conto altresì delle modifiche apportate in sede di conversione in legge (ad es. modifica termine di presentazione del mod. DA1, allungamento numero rate, estensione agli atti “non Equitalia”, ecc.).

Tutti i contribuenti interessati alla definizione agevolata possono prendere contatti con lo studio e richiedere un appuntamento per ottenere informazioni in merito.

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La cartella di pagamento emessa durante la sospensione giudiziale viola l’art. 650 c.p.

La CTP di Parma, con la sentenza n. 555/1/2016 del 04/07/2016 (Presidente Cavani, relatore Volpi) ha stabilito che la cartella di pagamento emessa in vigenza della sospensione giudiziale ex art. 47 Dlgs 546/92 non solo viola la legge ma configura anche il reato di cui all’art. 650 c.p., vale a dire il reato di inottemperanza all’ordine dell’autorità.

La vicenda processuale trae origine dalla revoca da parte dell’Agenzia delle Entrate a due contribuenti delle agevolazioni “prima casa” e di quelle sul mutuo contratto a tal fine. I contribuenti impugnano l’atto chiedendo alla CTP adita la sospensione giudiziale degli effetti ex art. 47 Dlgs 546/92. La CTP dispone la sospensione, senza ulteriori prescrizioni. Nonostante ciò, però, i contribuenti ricevono la cartella di pagamento per iscrizione a ruolo di quanto dovuto a titolo provvisorio, maggiorato della sanzione del 30% per omesso versamento.

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Nel rito tributario vietate le notifiche via pec

Esclusa nel processo tributario la possibilità per l’avvocato di notificare atti all’Agenzia a mezzo Pec. Ad affermarlo è la Ctr di Bologna, con la sentenza 2065/01/15 del 21 ottobre 2015 (presidente Lamberti, relatore Trerè).
Un contribuente presentava ricorso innanzi la Ctp avverso un diniego di rimborso Irpef, trattenuta sulla pensione privilegiata per infermità dipendente da causa di servizio. La Ctp accoglieva il ricorso, ritenendo che le pensioni privilegiate fossero equiparabili a quelle di guerra, e dunque esenti dal pagamento dell’imposta.
L’Agenzia proponeva appello ed il contribuente, costituendosi in giudizio, eccepiva preliminarmente l’inammissibilità per decadenza dei termini di impugnazione.
La sentenza della Ctp era stata, infatti, notificata dal difensore all’ufficio a mezzo Pec in data 20 novembre 2014; l’appello a sua volta era stato notificato dall’Agenzia in data 26 gennaio 2015. Era, dunque, spirato il termine breve previsto dalla legge (60 giorni) per proporre impugnazione.
La Ctr di Bologna ha accolto l’appello dell’Agenzia, rigettando la preliminare eccezione di inammissibilità.
Il collegio ha ritenuto che la notifica della sentenza all’ufficio era da ritenersi illegittima poiché effettuata a mezzo Pec, strumento non contemplato per le notifiche nel processo tributario. In particolare, il difensore aveva utilizzato la notificazione riservata agli avvocati dalla legge 53/1994, secondo la quale al legale, munito di apposita autorizzazione del consiglio dell’Ordine, è consentito di notificare atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale non solo tramite il servizio postale, ma anche a mezzo Pec.
Tuttavia, dal tenore testuale della norma, tale procedura di notifica non è applicabile al processo tributario.
I giudici bolognesi hanno richiamato, a sostegno della loro tesi, una sentenza della Ctr di Benevento (n. 395/2013) la quale aveva affermato che nel rito tributario sono previste attualmente solo le notifiche di atti di cancelleria via Pec, mentre non esiste nessun decreto ministeriale che consente l’utilizzo della posta elettronica per gli atti di parte.
La Cassazione, sul punto, con l’ordinanza 6811/2011, aveva precisato che in tema di contenzioso tributario la notifica a mezzo posta equivale in tutto e per tutto a quella effettuata con ufficiale giudiziario. Tuttavia, tale pronuncia si riferiva esclusivamente alle raccomandate a/r e non alle missive tramite Pec, introdotte solo nel 2013.
Peraltro, eventuali dubbi in proposito, sono stati in ogni caso risolti con l’articolo 46, comma 2, del Dl 90/2014 il quale, in estrema sintesi, dispone che le norme tecniche previste per il processo civile telematico non possono applicarsi al processo amministrativo, nel quale va ricompreso anche quello tributario. Per quest’ultimo, infatti, l’uso della telematica è consentito con regole tecniche ad hoc, la cui attuazione dipende dall’emanazione di appositi decreti ministeriali.
Respinta l’eccezione preliminare, la Ctr nel merito ha affermato che le pensioni privilegiate non possono considerarsi equiparate a quelle di guerra e, dunque, non sono esenti da Irpef.
Da qui l’accoglimento integrale del ricorso del fisco.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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Per la Cassazione il contraddittorio preventivo non è obbligatorio

Sta facendo discutere in questi giorni la Sentenza n. 24823/2015 della Corte di Cassazione, resa a SS.UU., nella quale viene stabilito che non esiste nel nostro ordinamento un obbligo generalizzato di attivazione del contraddittorio prima dell’emissione dell’atto da parte dell’ufficio, salvo non sia previsto per legge. Trattasi infatti di un principio di derivazione comunitaria, applicabile pertanto solo ai tributi armonizzati (Iva, dogane e accise, principalmente). In tal caso, però, affinché operi la sanzione di nullità del provvedimento, il contribuente, in giudizio, deve assolvere all’onere “…di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto. …”. Inoltre la garanzia dell’art. 12 c. 7 della L. 212/2000 è riferita solo alle ipotesi di provvedimenti conseguenti a verifiche eseguite presso la sede del contribuente poiché l’accesso presso quest’ultimo, afferma la Suprema Corte, é caratterizzato “dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità che specificamente giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali.”

Tale sentenza costituisce senza ombra di dubbio un revirement rispetto alla precedente giurisprudenza della stessa Corte sul punto (Sent. 18184/2013, 19667/2014, Ord. 527/2015) e si pone altresì in contrasto con i principi sanciti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 132/2015.

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Il fisco non può negare l’autotutela se l’errore dell’ufficio è macroscopico e significativo

Con la Sentenza n. 840/01/2015 del 25/06/2015 la CTP di Campobasso ha stabilito che l’ufficio non può negare l’esercizio dell’autotutela in presenza di “significativo errore”.

La vicenda processuale vede protagonista un contribuente al quale venivano notificati due avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2005 e 2006 con i quali l’ufficio accertava maggiori redditi determinati sulla base di incrementi patrimoniali (art. 38 DPR 600/73). Il contribuente presentava istanza di accertamento con adesione per entrambi gli avvisi ricevuti e al termine della procedura sottoscriveva per ciascun anno di imposta gli atti di accertamento con adesione provvedendo al versamento di quanto concordato. Successivamente al contribuente veniva notificato ulteriore avviso relativo all’anno 2007 e in tale occasione si accorgeva che nei precedenti avvisi di accertamento era stato commesso un “rilevante” errore materiale: “per l’autovettura a benzina immatricolata nel 2005 era stata erronemanete digitata l’indicazione di 320 cavalli fiscali in luogo di 23 cavalli fiscali”, ragion per cui il maggior reddito accertato dall’ufficio era da considerarsi errato e, cosa ancor più rilevante, il contribuente aveva provveduto ad effettuare maggiori versamenti per circa 40.000 euro, indebitamente percepiti dall’Amministrazione Finanziaria.

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Bonus ristrutturazioni accertabile entro 4 anni

Si segnala la recentissima sentenza n. 2597/2015 della CTR Lombardia nella quale i giudici di appello hanno statuito che l’Agenzia delle Entrate deve accertare la spettanza del bonus ristrutturazioni di cui all’art. 16-bis del TUIR entro il termine di 4 anni decorrenti da quello di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta nel quale sono state sostenute le spese, indipendentemente dal fatto che poi il beneficio venga spalmato fino a 10 rate.

La vicenda vede protagonista un contribuente al quale l’Agenzia delle Entrate disconosceva il bonus fruito per interventi di recupero effettuati su un immobile di sua proprietà negli anni 2002 e 2003. Il disconoscimento avveniva però in occasione del controllo formale ex art. 36-ter DPR 600/73 della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2007, nella quale il contribuente aveva portato in detrazione una delle rate previste dalla legge. Al contribuente veniva notificata la cartella di pagamento in data 13/04/2012.

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La compensazione oltre il plafond annuale si considera omesso versamento

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 11522 del 04/06/2015, ha stabilito che la compensazione effettuata nel mod. F24 oltre la soglia annuale stabilita per legge equivale a mancato versamento e dunque si applica la sanzione del 30%.

La vicenda riguardava una società la quale aveva compensato oltre soglia l’IVA relativa al 2006 e per questo era stata raggiunta da un avviso di irrogazione di sanzione pari al 30% del credito splafonato. Si ricorda in proposito che l’art. 34 della L. 388/2000 aveva previsto un tetto massimo ai crediti di imposta compensabili, pari a € 516.456,90, elevato a € 700.000 a far data dal 01/01/2010.

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Rapporti difficili

Si riporta di seguito un interessante articolo di Massimiliano Tasini tratto dal quotidiano Euroconference News nel quale viene evidenziato come anche il rapporto tra Agenzia delle Entrate ed Equitalia è causa di negazione di taluni diritti che vanno riconosciuti al contribuente. E’ ormai urgente che il legislatore intervenga affinché il rapporto tra fisco e contribuente divenga finalmente paritario.

di Massimiliano Tasini – sabato 11 aprile 2015

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Non sussuste abuso del diritto in caso di iniziative economiche svolte in aree incentivate

Con la Sentenza n. 5378 del 18/03/2015 la Corte di Cassazione ha stabilito che non sussiste abuso del diritto nel caso in cui una società acquista materiali dalla sua collegata situata in area incentivata, ottenendo in tal modo un risparmio fiscale.

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società sulla base di un pvc redatto dalla Guardia di Finanza mediante il quale venivano recuperati a tassazione Irpeg e Ilor per l’anno 1997, tra l’altro, lire 1.590.753.000 per costi ritenuti fittizi poiché riferiti ad acquisti di materiali forniti dalla propria collegata.

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