La proroga comunicata dall’Agenzia delle Entrate sposta la scadenza per l’invio telematico

Con la sentenza n. 26867 del 18/12/2014 la Corte di Cassazione statuisce che non incorre in alcuna sanzione o conseguenza il contribuente che effettua gli adempimenti telematici in ritardo a causa di problemi sulla rete dell’Agenzia delle Entrate. In questi casi prevale infatti il principio dell’affidamento del cittadino nel buon andamento dell’amministrazione finanziaria.

La vicenda processuale vede protagonista una società che aveva presentato una richiesta di rimborso IVA in data 02/02/2004, ossia oltre il termine di 90 gg. previsto dall’art. 2 c. 7 del Dlgs 322/98. La contribuente però aveva calcolato i 90 gg. non già dalla scadenza del 31/10/2003 bensì partendo dalla data del 03/11/2013 in quanto l’Agenzia delle Entrate, con comunicato stampa del 31/10/2013 annunciava che a causa di problemi tecnici che avevano interessato le reti telematiche in quella giornata, era consentita la trasmissione telematica sino alla mezzanotte del 03/11/2003.

L’ufficio negava il rimborso e avverso il diniego la contribuente proponeva ricorso in CTP che veniva accolto così come la sentenza di primo grado, appellata dall’ufficio, era confermata dalla CTR adita: la domanda di rimborso non era tardiva, in quanto il termine dei 90 gg. decorreva non dalla scadenza prevista per legge (31/10/2003) ma, per effetto del comunicato, dal 03/11/2003.

Proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate ribadendo la tardività della richiesta. In particolare, secondo l’ufficio, la proroga dal 31/10 al 03/11/2003 avrebbe avuto natura tecnica e non giuridica poiché conseguente a meri disguidi e quindi il termine ulteriore di 90 gg. doveva decorrere dal 31/10/2003. Inoltre, sempre secondo l’ufficio, la proroga poteva avvenire solo con decreto ministeriale, in base a quanto stabilito dall’art. 9 della L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente).

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, condannandola alla refusione delle spese processuali, rifacendosi innanzitutto a quanto disposto dall’art. 18 par. 1 della direttiva 77/388/CEE, in base al quale il diritto alla deduzione dell’imposta effettivamente assolta sugli acquisti, che nelle forme della detrazione o del rimborso garantisce la fondamentale neutralità del tributo, trova la sua fonte genetica nel coinvolgimento in operazioni imponibili e nel consequenziale possesso di una fattura compilata secondo le disposizioni ad essa applicabili, fatti salvi i casi di frode e/o di difetto di inerenza.  Ai fini della salvaguardia del diritto al rimborso, pertanto, di derivazione comunitaria, non si può prescindere dal fatto storico rappresentato dal comunicato stampa divulgato dall’Agenzia delle Entrate che autorizzava ad adempiere con ritardo.  Secondo gli ermellini “essendo i novanta giorni concessi alla parte contribuente un lasso temporale ulteriore per un diverso adempimento, successivo alla presentazione della dichiarazione, il fisco non può ridurre tale lasso di tempo per effetto di difficoltà (neppure esterne ma addirittura) della propria rete telematica, che avevano comportato lo slittamento del termine per le dichiarazioni.” Pertanto la contribuente, alla luce del comunicato stampa, aveva fatto affidamento e quindi il suo comportamento non poteva ritenersi in contrasto con parametri di legalità, correttezza e diligenza. Osserva la Corte in proposito che “la correlazione logica e giuridica tra il “comunicato” dell’Agenzia delle Entrate e le “istruzioni” del fisco per la presentazione del modello VR/2003 coglie il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino. Esso trova origine, non tanto – e non solo – nell’art. 10 dello Statuto del contribuente, quanto – e soprattutto – in principi costituzionali di portata generale (articoli 3, 23, 53, 97) richiamati dalla disciplina statutaria (art. 1), ed è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, ivi compresi quelli tributari in particolare.”

Non meritevole di accoglimento da parte dei giudici di ultima istanza è stata anche la tesi della mancata formalizzazione della proroga attraverso un decreto ministeriale in base a quanto previsto dall’art. 9 dello Statuto del contribuente. Il potere di differimento dei termini, infatti, non può essere riservato ad un atto a forma vincolata per cui in materia fiscale tale potere può essere esercitato tanto con i decreti ministeriali quanto con atti diversi, tra cui rientrano anche le determinazioni delle agenzie fiscali. Per la Corte “La norma statutaria (art. 9 L. 212/2000), essendo una disposizione posta a garanzia del contribuente, non può che essere diretta a tutelare la sua posizione quale soggetto “debole” del rapporto: da qui derivano le garanzie, anche pubblicitarie, del previsto decreto ministeriale. Tuttavia ciò non toglie che – se l’amministrazione finanziaria, per ragioni di pubblico interesse e tra esse non ultimi i propri problemi telematici, differisca un termine per il compimento di adempimenti fiscali – possa essere adottata una forma diversa più consona alla concreta situazione di urgenza e più aderente agli odierni “media”, quale il “comunicato” divulgato tramite l’Ufficio Stampa”.

Quel che lascia perplessi di questa controversia è il fatto che l’Agenzia delle Entrate abbia fatto approdare in Cassazione un giudizio che non doveva nemmeno iniziare se avesse provveduto, secondo i principi costituzionali richiamati (a giusta ragione) dai supremi giudici in sentenza, ad eseguire il rimborso chiesto dalla società contribuente. In pratica l’Agenzia delle Entrate sconfessa se stessa e si arrampica sugli specchi allorquando si difende invocando una presunta “proroga tecnica” da tenere distinta dalla “proroga giuridica”. Solo quest’ultima legittimerebbe lo sforamento del termine di trasmissione telematica della dichiarazione da parte del contribuente: giustamente la Cassazione ha respinto tale tesi perché se vi è una proroga (non esiste una “tiplogia” di proroga) il contribuente deve fare affidamento su di essa, in base ai suddetti principi costituzionali. L’Agenzia si arrampica sugli specchi anche quando ignora completamente il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente (nonché dell’art. 1 con il richiamo ai principi costituzionali) per “pretendere”, a suo favore, un rigoroso rispetto di quanto previsto dall’art. 9 della stessa Legge: anche in tal caso la Cassazione ha respinto la tesi dell’Agenzia, ribadendo che non necessariamente la proroga deve essere contenuta in un decreto ministeriale in quanto adottabile all’interno di provvedimenti aventi diversa natura, tenuto conto della concreta situazione di urgenza nonché dell’efficacia dello strumento di comunicazione da utilizzare affinché i contribuenti vengano informati nella maniera più veloce possibile . Insomma, una sentenza che evidenzia ancora una volta la distanza tra fisco e contribuente quali attori di un rapporto tributario rispettoso dei principi costituzionali richiamati nello Statuto del contribuente. Da sottolineare infine che l’Agenzia delle Entrate è stata condannata a rifondere per le spese processuali la somma di € 7.300, soldi pubblici che avrebbe potuto benissimo evitare di sborsare se avesse adottato un comportamento conforme ai principi costituzionali sopra richiamati, con ciò arrecando un danno alla collettività.

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