Costi pluriennali rettificabili anche in esercizi successivi

Sta facendo discutere il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione a SS.UU. nella sentenza n. 8500/2021, in base al quale “nel caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall’errato computo del singolo rateo dedotto e concernenti invece il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell’amministrazione finanziaria va riguardata, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, non già in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio”.

La vincenda processuale vede protagonista la stabile organizzazione in Italia di un ente creditizio olandese alla quale viene notificato in data 23/11/2009 un avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 2004 con cui l’ufficio disconosceva un costo rappresentato dalla svalutazione in bilancio di un credito maturato a seguito di un finanziamento erogato ad una s.p.a. in amministrazione straordinaria. Secondo l’ufficio tale costo non poteva essere dedotto (era stato imputato per 1/9 in base all’art. 106 c. 3 del TUIR vigente ratione temporis) poiché il finanziamento erogato non derivava da risorse proprie della stabile organizzazione bensì da finanziamenti ad essa procurati dalla società-madre olandese il che comportava sia la sottrazione di utili della stabile organizzazione in Italia, in quanto girati alla società-madre sotto forma di interessi passivi a questa dovuta su tale finanziamento, sia l’imputazione alla stabile organizzazione di una posta passiva, rappresentata dalla svalutazione, afferente ad un credito di finanziamento a questa ascrivibile solo nei limiti della quota (figurativa) del patrimonio di vigilanza.

La stabile organizzazione impugnava l’avviso di accertamento eccependo tra i diversi motivi di ricorso anche l’intervenuta decadenza del potere di accertamento nel presupposto che il “fatto generatore” della svalutazione fosse accaduto in un esercizio (2003) già decaduto e quindi non più rettificabile.

La CTP prima e la CTR Lombardia successivamente (Sent. 74/5/2013), nel dare ragione al contribuente,  annullavano l’avviso di accertamento affermando che l’ufficio fosse decaduto dalla potestà di ripresa fiscale perché non aveva rettificato, nei termini di legge, i redditi della stabile organizzazione per il periodo d’imposta 2003, periodo d’imposta nel quale per la prima volta era stata effettuata la svalutazione del credito.

Proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate lamentando, ai fini che qui interessano, la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del DPR 600/73 e dell’art. 7 del TUIR, per avere la CTR Lombardia erroneamente ritenuto decaduta l’amministrazione finanziaria per effetto della mancata rettifica, nei termini, della iniziale appostazione della svalutazione pluriennale nel bilancio 2003 della stabile organizzazione. L’ufficio evidenziava in proposito che questa rettifica costituiva una mera facoltà e non un obbligo la cui inosservanza precludesse il recupero d’imposta per le annualità successive, in quanto ciascuna di esse è connotata da autonoma rilevanza e comunque non vi è un giudicato attestante la legittimità nel merito di tale svalutazione.

Assegnata la causa a decisione, con l’ordinanza interlocutoria n. 10701/20 la Sezione Tributaria rimetteva gli atti al Primo Presidente il quale, nell’evidenziare la rilevanza pratica della questione, che interessa non solo la svalutazione dei crediti ma più in generale ogni fattispecie reddituale ad efficacia pluriennale (si pensi ad es. alle detrazioni edilizie, all’ammortamento, al riporto perdite pregresse, ecc.) assegnava il ricorso alle SS.UU.

I giudici di ultima istanza hanno innanzitutto ripercorso le pronunce di legittimità intervenute sul punto, secondo le quali, in via maggioritaria, l’obbligazione tributaria ha carettere autonomo con la conseguenza che la decadenza va verificata per ogni singolo anno d’imposta (da ultimo Cass. 12740/2020). In particolare, hanno evidenziato che la periodizzazione annuale dell’imposta sul reddito e la novazione, tempo per tempo, di ciascuna obbligazione tributaria si riflettono sia sulla dichiarazione, la quale deve indicare “annualmente i redditi posseduti” (art. 1 DPR 600/73) , sia sull’accertamento, il quale deve essere notificato “a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione” (art. 43 DPR 600/73). Secondo il ragionamento della Cassazione ne deriva che in caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale per ragioni diverse dall’errato computo del singolo rateo dedotto e concernenti il fatto generatore, la decadenza del potere di accertamento va verificata rispetto ad ogni singola annualità.

La decisione della Cassazione presta il fianco ad alcune riflessioni, anche di ordine pratico. Si immagini ad es. un contribuente che ha acquistato un fabbricato nel 2000 e che di conseguenza terminerà di stanziare l’ammortamento nel 2033. Nel 2039 subisce una verifica fiscale relativamente all’anno 2033 e l’Agenzia delle Entrate ritiene non deducibile la quota di ammortamento stanziata in tale anno. Alla luce del principio affermato dalle SS.UU. nella sentenza in commento il contribuente in questione, per poter dimostrare la correttezza del proprio operato, dovrà conservare la documentazione interente l’acquisto del fabbricato per circa 40 anni. Nelle verifiche fiscali, infatti, è di prassi che i verificatori non si limitino soltanto al riscontro meramente cartolare del documento contabile ma, attraverso le più svariate presunzioni, contestano l’inerenza, l’antieconomicità e nelle ipotesi più gravi anche la fittizietà dell’operazione. Si verifica infatti che la fattura non è sufficiente per dimostrare le veridicità o l’inerenza di un determinato costo poiché potrebbe servire ulteriore documentazione, quale contratti, commesse, mail, ecc. con la conseguenza che il contribuente non solo dovrà conservare per un lasso di tempo così lungo la documentazione contabile ma anche quella extracontabile di supporto. A parere di chi scrive così si alimenta la sfiducia del contribuente il quale, secondo la Consulta, non può essere esposto “senza limiti di temporali all’azione esecutiva del fisco, in quanto ciò non è consentito dall’art. 24  Cost.” (Sent. 107/2003, 352/2004, 247/2011). Si ha la sensazione che si vogliano addossare oneri al contribuente a fronte della incapacità da parte del fisco di scoprire una violazione nell’arco di 6 anni ma soprattutto tali interpretazioni da parte della giurisprudenza mal si conciliano con alcune scelte legislative anche recenti, come ad es. l’abrogazione del raddoppio dei termini di accertamento nel caso di reati tributari. L’evasore più incallito che commette anche un reato dovrà essere accertato ai fini fiscali in circa sei anni mentre il contribuente che ad es. fa una ristrutturazione edilizia non solo deve conservare la documentazione per oltre 10 anni ma, soprattutto, è sottoposto alle valutazioni del fisco in  ordine alla correttezza e la pertinenza dei lavori per un periodo di tempo così lungo.

Altra riflessione concerne la decadenza. Al par. 4.5 della sentenza in commento la Cassazione afferma che “la definitività, in conseguenza del mancato accertamento, della dichiarazione di prima emersione del componente pluriennale non porta in sé il diverso effetto della “preclusività” di sindacato di un periodo d’imposta successivo; anzi, per meglio dire, non produce proprio alcun effetto sull’accertamento, il quale può derivare solo dalla positiva rispondenza alla realtà di quanto dichiarato”. Secondo il pensiero della Cassazione, dunque, la preclusione è una conseguenza non della decadenza ma dell’accertamento. E’ chiaro che una tale affermazione non è fondata su alcuna norma espressa e che, in realtà, la decadenza appartiene alla categoria degli atti preclusivi e che la preclusività, al contrario di quanto affermato dalla Cassazione, è una vicenda per così dire “stabilizzante” nel senso che l’ordinamento valuta che, da un certo punto in poi, il “costo” sociale della ricerca della “verità” sia maggiore dei suoi vantaggi. In base al ragionamento della Cassazione, invece, la preclusività diventa vicenda “destabilizzante” nel momento in cui legittima l’ufficio ad accertare i periodi d’imposta relativi ai singoli ratei dei costi a valenza pluriennale anziché quello nel quale il costo viene esposto per la prima volta.   La sensazione che si ha in questo caso è che la Cassazione, nello stabilire, di fronte ad un fenomeno preclusivo qual è la decadenza, cosa sia effettivamente precluso e cosa non lo sia, abbia operato una scelta di campo che è stata quella di restringere al massimo il significato di definitività, per estendere quanto più possibile la possibilità di manovra dell’Agenzia delle Entrate. Tale sentenza, inoltre, cade in un momento storico nel quale le vicende “ultrannuali” nel diritto tributario hanno assunto, mai come in questo momento, un valore pervasivo presentandosi con una frequenza tale che impedisce di considerarle come eccezioni.

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