Assegno di divorzio: ai fini del riconoscimento rileva l’inadeguatezza dei mezzi

Dalla natura assistenziale dell’assegno di divorzio discende che è l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente o l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive il presupposto per il riconoscimento del contributo. Tale inadeguatezza, tuttavia, deve essere intesa non già come stato di bisogno, ovvero come mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui il richiedente dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto.

La disciplina di cui all’art. 5, comma 6, L. 1 dicembre 1970, n. 898, secondo cui “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”, individua, quale presupposto per il riconoscimento di tale contributo, l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del richiedente e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive. Tale inadeguatezza deve essere intesa non già come stato di bisogno, ovverosia come mancanza di mezzi di sostentamento, bensì come insufficienza delle sostanze e dei redditi di cui il richiedente dispone ad assicurargli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto. Inoltre, l’esigenza che l’indisponibilità di mezzi economici adeguati sia ricollegabile a ragioni obiettive non giustifica il bilanciamento tra stato di bisogno e colpa della richiedente, non occorrendo, ai fini dell’attribuzione dell’assegno, una indagine in ordine alla imputabilità delle circostanze che hanno condotto il coniuge istante allo stato di ristrettezza economica, ma solo una valutazione in ordine alla sua capacità di procurarsi ulteriori risorse, al fine di stabilire se l’inadeguatezza dei mezzi di cui dispone sia dovuta ad una sua colpevole inerzia.

Quanto alla liquidazione dell’importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi il predetto tenore di vita, deve essere compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata del matrimonio, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, il reddito di entrambi.

In applicazione dei suindicati principi, la Suprema Corte, pur dovendo procedere, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., alla correzione della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la stessa aveva subordinato il riconoscimento dell’assegno divorzile all’accertamento dello stato di bisogno dell’intimata nonché ad un giudizio di prevalenza dello stesso rispetto alla colpa dell’interessata, ha rigettato il ricorso presentato da un ex marito contro la sentenza che aveva posto a suo carico l’obbligo di corrispondere all’ex coniuge un assegno mensile, pari ad un importo di euro cinquecento, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice Istat.(banca dati)

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