Il Governo corre ai ripari sulla tassa di concessione governativa sui telefonini

Negli ultimi giorni abbiamo sentito parlare di voluntary disclosure, ossia di “collaborazione volontaria” nel rientro in Italia dei capitali trasferiti illegalmente all’estero. La normativa di riferimento è contenuta nel D.L. n. 4 del 28/01/2014 pubblicato nella G.U. n. 23 del 29/01/2014.  Tale decreto però, al comma 4 dell’art. 2, così recita. “Per gli effetti dell’articolo 21 della Tariffa annessa al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, le disposizioni dell’articolo 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione.” 

Nella sostanza il legislatore ci dice che la tassa di concessione governativa si considera dovuta ed interviene con una norma di interpretazione autentica, dunque applicabile anche per il passato.

Su tale questione sono attualmente pendenti numerosi ricorsi, proposti sia da Comuni che da privati, i quali sostengono la tesi che la tassa non è dovuta poiché con la liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione ad opera del Dlgs 259/2003 si è realizzata la privatizzazione del servizio pubblico. Il contratto di abbonamento di diritto privato (art. 1 del Dlgs 259/2003) non può essere assimilato al documento che in base alla previgente normativa (Dm 33/1990) attestava la condizione di abbonato al servizio pubblico. Inoltre l’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 641/1972 richiama l’art. 318 del D.P.R. 156/1973, norma a sua volta abrogata dal Dlgs 259/2003, e ciò sarebbe sufficiente a ritenere la tassa non più dovuta.

L’Agenzia delle Entrate, invece, sostiene la tesi che il presupposto della tassa è rappresentato dal contratto di abbonamento, ancora oggi previsto dall’art. 3 c. 2 del DM 33/1990. Il contratto sottoscritto dalla società, pur non essendo un provvedimento amministrativo, sostituirebbe ad ogni effetto la licenza di stazione radio richiamata dall’art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. 641/1972.

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12056/2013, ha ritenuto di rimettere la questione all’esame delle Sezioni Unite, anche in considerazione del gran numero delle cause ancora pendenti innanzi alla Suprema Corte e dal numero di soggetti coinvolti. La questione non è stata ancora decisa, al momento.

Pertanto, in attesa che le Sezioni Unite dirimano la questione, il Governo gioca d’anticipo, anche se comunque si arriverà a sentenza e non sappiamo come la Suprema Corte reagirà all’intervento furbesco del Governo. Si deve tener presente che senza l’intervento normativo, in caso di dichiarazione di illegittimità della tassa di concessione governativa da parte delle SS.UU., l’erario avrebbe corso il rischio di richieste di rimborso per quanto pagato per 10 anni per cui è in quest’ottica che va visto il gioco di anticipo del Governo, cioè la salvaguardaia delle casse erariali.

Al riguardo ci si potrebbe aspettare anche una dura presa di posizione della Cassazione nei confronti del legislatore: in un precedente analogo (Sent. n. 25506/2006) il Supremo Collegio rilevò che gli interventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa e non dall’esigenza di realizzare la certezza del diritto. Peraltro, secondo la Corte, quando la norma di interpretazione è introdotta con decreto legge allora questa promana direttamente da una delle parti in causa e ciò potrebbe configurare una violazione sia dell’art. 111 che dell’art. 97 della Costituzione.

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